Estratto dell’Articolo inserito nel fascicolo XII degli annali civili da R. Liberatore
“Lungo l’orientale costiera del nostro golfo, all’estrema falda del Vesuvio e da Napoli dieci miglia discosta, sorge una terra il cui nome per doppia recente scoperta andrà chiaro oggimai e benedetto. Quivi nel 1319 quattro pii cittadini erigevano cappella e spedale sotto l’intitolazione della vergine Annunziata; quivi verso il 1440 edificava una gran Torre quel Niccolò d’Alagni, padre della Lucrezia che fu tanto amata da re Alfonso, il quale colà soleva sovente andare a dimora: indi il paese e la denominazione. La gran via che mena a Salerno lo attraversa per tutta la lunghezza di esso; il Sarno che lo bagna a borea feconda le sue campagne e manda un canale ad animare le macchine della Regia Ferriera e Polveriera che in tal luogo son poste. Ma nè queste fabbriche, cè il tempio novellamento rifattovi con bella architettura dal Signor De Fazio bastavano a trattener gli stranieri che a folla vi traevano, unicamente perchè di là convien che passi chiunque da Napoli si conduce alla meravigliosa Pompei.”
Storia di una scoperta archeologica scomoda e di una vocazione turistica soffocata sul nascere (tratto dalla collana di studi Oplontina “Collana di studi storici” a cura di Maria Elefante
Vito Nunziante, audace generale borbonico, insignito poi del titolo di marchese grazie alle sue vittorie militari, oltre alla passione per la guerra, ne aveva un’altra che lo rese famoso: l’esplorazione del suolo partenopeo alla ricerca di risorse naturali che il re potesse sfruttare industrialmente. Non per niente, era stato proprio lui a farsi mandare dalla Francia una macchina di fresca invenzione, la trivella artesiana, fondando anche una scuola per formare dei tecnici esperti. Nominato viceré della Sicilia, ormai all’apice della sua carriera, negli ultimi anni della sua vita avventurosa, il Marchese volle fornire di acqua potabile la città di Torre dell’Annunciata, dove egli stesso possedeva fiorenti fabbriche di tessuti di lino. Il 18 giugno del 1831, anno in cui fu nominato Ministro di Stato con il comando di tutte le truppe del regno, usando appunto la trivella, fece scavare un pozzo presso la spiaggia della città, ai piedi di una rupe del promontorio Uncino. Sgorgò fuori un’acqua calda e spumeggiante, fortemente mineralizzata che si mostrò efficace nella cura di diverse malattie. Non si perse tempo né si risparmiarono mezzi e danaro per costruire uno stabilimento termale capace di accogliere i pazienti che a frotte si recavano sul luogo, ora irto di case, allora ricco di pini marini, che dalla collina si protendevano fino alla spiaggia. E fu proprio durante gli scavi, eseguiti per la moderna costruzione, che venne fuori un’antica terma romana, ancora splendidamente arredata, prova che il valore terapeutico di quell’acqua era già noto ai Romani. La vicinanza della sorgente al mare ne accresceva le virtù, rendendo possibile abbinare le cure termali con quelle marine, secondo un uso molto diffuso nell’antichità. Ne è prova un’epigrafe scoperta a Pompei che pubblicizza proprio questo stabilimento balneare dedicato a Marco Crasso Frugi, console del 64 d.C., che già ne possedeva un altro con le stesse caratteristiche a Baia. Di questa scoperta archeologica, che ebbe risonanza in tutto il regno tanto che il re Ferdinando II si recò personalmente sul posto per ben due volte per partecipare allo scavo, tacciono inesplicabilmente i documenti ufficiali; tace anche il diligentissimo Michele Ruggiero che pure nei suoi “Scavi di antichità nelle province di terraferma” ci fornisce preziose informazioni sui ritrovamenti che alcuni anni più tardi si verificarono in altre zone di Torre Annunziata. Omissione gravissima, soprattutto perché lo stabilimento balneare moderno, dedicato al generale Vito Nunziante, venne costruito a danno dell’antico, che fu completamente distrutto, e le preziose suppellettili, asportate con la tecnica di rapina, allora consueta, si dispersero, distribuite nelle case die nobili di mezza Europa. Mentre, infatti, i dotti dell’Accademia ercolanese, consultati per dare un parere, perdevano tempo in oziose dispute, gli interessi economici prevalsero su quelli culturali e la terma moderna fu innalzata dopo aver raso al suolo quella romana. (…)